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Mese: Febbraio 2020

TFR e premio fedeltà: buone notizie per i dipendenti più fedeli all’azienda

La Corte di Cassazione stabilisce una connessione tra calcolo di TFR e premio fedeltà. Tutti i dettagli, in questo articolo. 


È di pochi giorni fa la sentenza della Cassazione (con ordinanza n. 3625 del 13 febbraio 2020) che dà buone notizie per i dipendenti aziendali che hanno ricevuto dei premi fedeltà, cioè delle gratifiche economiche riconosciute a seguito di molti anni di impiego in azienda. 
Queste gratifiche infatti sono computabili nel Trattamento di Fine Rapporto, che aumenta con la somma di tali gratifiche. 
Sarà così finché le modifiche del Contratto Nazionale del Lavoro non disporranno diversamente.

Che cosa è il premio fedeltà?

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Ogni azienda privata che assume con Contratto Collettivo Nazionale ha la possibilità di elargire gratifiche ai dipendenti e, in alcuni casi, anche l’obbligo a farlo. 
Ad esempio, in alcuni Contratti Collettivi l’azienda ha l’obbligo di dare premi ai dipendenti a seguito del raggiungimento di alcuni risultati.

I premi per i dipendenti sono di tre tipi: 

  • Premi di produttività, legati al raggiungimento di alcuni risultati economici e produttivi per l’intera azienda (Es. l’azienda ha aumentato il fatturato del 20% e dà una gratifica a tutti i dipendenti);
  • Premi di rendimento, collegati ai risultati di ogni singolo dipendente (Es. il dipendente ha chiuso un contratto con un nuovo cliente, portandolo nel pacchetto clienti dell’azienda);
  • Premi fedeltà, riconosciuti ai dipendenti con maggiore anzianità di servizio. 

Che cosa è il TFR (Trattamento di Fine Rapporto)?

Il trattamento di fine rapporto, nel gergo del mondo del lavoro anche detto “liquidazione”, è una parte o porzione di retribuzione che non viene erogata in busta paga ma differita (in pratica, messa da parte) per essere poi erogata al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

IL TFR viene erogato per ogni tipo di cessazione di contratto, che sia per dimissioni del dipendente o per licenziamento, individuale o collettivo. 

Se, ad esempio, lavori per un’azienda per sei anni e poi trovi un nuovo lavoro, alla chiusura del rapporto con l’azienda da cui sei dimissionario ti verrà versata la somma di TFR accumulata nei sei anni di lavoro e calcolata sulla base di retribuzione annuale divisa per 13.5, tenendo anche presente l’aumento dell’indice Istat dei prezzi al consumo.

Il TFR si calcola tenendo presenti tutti gli elementi che fanno parte della retribuzione in un determinato anno, compresi gli scatti di anzianità, le indennità, straordinari, premi presenza e, tra le altre cose, anche i premi fedeltà. 

TFR e premio fedeltà: cosa accade a seguito di questa sentenza della Corte di Cassazione? 

Un tempo, il calcolo del TFR avveniva prendendo in considerazione l’ultima busta paga. 
In seguito, sono entrati a far parte del calcolo, tutte quelle voci di retribuzione che costituiscono l’ammontare degli stipendi nel corso del rapporto di lavoro, dai quali sono però esclusi i premi e le erogazioni una tantum, occasionali.

Tra questi ultimi, secondo la Cassazione, non rientrano i premi fedeltà, che sono invece di natura retributiva perché strettamente collegati alla vita e alla carriera continuata in azienda. 
Ed è per questo che, fino ad un’eventuale modifica del Contratto Collettivo Nazionale, i premi fedeltà andranno calcolati nel computo del TFR.

Startup: 5 errori da evitare per non chiudere entro i primi 5 anni

Nell’attività di affiancamento a PMI e nel supporto per Startup, ci confrontiamo quotidianamente con realtà imprenditoriali ricche di entusiasmo e buoni propositi. 

Progetti validi, che possono dare enormi contributi alle micro economie locali e che possono portare interessanti cambiamenti a livello macro. 

Tuttavia, pur in un panorama nazionale che vede la nascita di oltre 80.000 imprese giovanili innovative l’anno, i dati sanciscono che una startup su tre non supera i 5 anni di vita. 

Lo attesta, ad esempio, la recente indagine di Unioncamere sulle startup che, fotografando il panorama di imprese giovanili fondate tra il 2011 e il 2018 (un totale di 575mila)  dimostra che un terzo di esse non supera la fase di avvio. 

Perché una startup su tre non supera i 5 anni?

I fattori sono di certo molteplici ed hanno a che fare con le difficoltà a trovare i giusti finanziamenti, reggere il confronto con la concorrenza, la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro e, per alcuni aspetti, anche l’instabilità politica e conseguente instabilità dei mercati. 

Queste sono alcune punte di un complesso iceberg. 

Ma tutti questi aspetti che portano una Startup a non raggiungere il traguardo minimo dei cinque anni di vita sono riassumibili in 5 errori di partenza che, se evitati, possono condurre un’impresa giovanile ad avere successo e durare nel tempo. 

Scopriamoli insieme. 

Analisi SWOT poco dettagliata 

In un paese in cui le tasse che gravano sulle imprese superano il 58%, quando una PMI getta la spugna è immediato puntare il dito esclusivamente e primariamente su questo aspetto e così è anche quando si analizzano i fattori che fanno cadere una startup. 
Di certo, questo è un fattore di debolezza.

Questo fattore di debolezza deve però realisticamente essere inserito e preso in considerazione nell’analisi iniziale di punti di forza, debolezza, opportunità e minacce che caratterizzano una corretta analisi SWOT. 

È bene dunque, nelle fasi iniziali, soffermarsi molto sulla stesura di un documento SWOT ben ponderato e realistico, che prenda in considerazione tutti i fattori di rischio e porti a pensare a delle preventive possibili soluzioni. 

Contattaci per una consulenza.

Team male assortiti

Una Startup con un solo socio fondatore è destinata ad avere meno investimenti, perché un unico socio è, per gli investitori, un possibile fattore di rischio e debolezza. 

Tuttavia è anche bene creare una realtà imprenditoriale con il giusto team. Non bisogna per forza essere amici di infanzia, come non è necessario essere d’accordo su tutto.

È però fondamentale che si abbia la stessa etica del lavoro e la stessa attitudine al sacrificio e all’impegno.

Le diverse vision dei fondatori sono uno dei principali elementi tossici nella vita di una Startup.  

Non lanciarsi in iniziative di raccolta fondi e finanziamenti

L’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di un regolamento specifico per la raccolta fondi, proprio per consentire alle giovani imprese di avere fonti innovative e veloci di finanziamento.

Ogni Startup dovrebbe, già nei primi mesi di attività, delegare un membro del team alla ricerca di bandi, fondi di finanziamento per le imprese e approfondire le tematiche relative a come si lancia e conduce una campagna di crowdfunding (cioè raccolta fondi dal basso). 

Oppure è possibile, e forse opportuno, rivolgersi ad un consulente del lavoro che sappia consigliare in merito e che possa dare delle dritte sulla normativa e relativi aggiornamenti. 

Scelte di investimento non oculate

Una pianificazione dei giusti investimenti da fare e la loro relativa calendarizzazione sono indispensabili, ancor prima di partire. 

Ci sono aspetti sui quali è meglio non lesinare, ad esempio sui programmatori. 

Questi non devono solo garantire consegne efficienti e tempestive e la veloce risoluzione di problemi ma anche veloce reperibilità e semplice comunicazione. 

Non avere una strategia comunicativa

Comunicare il proprio progetto è importantissimo e creare una giusta strategia di comunicazione, anche affidandosi ad esperti, è un fattore che spesso, tra tasse, spese, difficoltà iniziali, tende a passare in secondo o in terzo piano. Questo è un grosso errore.

Comunicare un progetto vuol dire prima di tutto stabilire una linea comunicativa comune tra soci, trovare le parole chiave con le quali racconterete il progetto agli investitori, nelle relazioni interpersonali e nei così detti elevator pitch. 

Su questa base, va costruita una strategia che non si basi solo sull’essere presenti su tutti i social ma che abbia una visione a lungo termine.