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Categoria: Esperienze

Il destino delle Startup dopo la pandemia

Quali saranno i rischi reali per le startup dopo la pandemia e quali saranno le ancore di salvezza e le concrete risorse per le giovani aziende innovative?

Non è un segreto per nessuno, ormai: i mesi di convivenza con il Covid-19 saranno mesi molto duri per l’economia.

Anche il post pandemia, che arriverà solo dopo la diffusione del vaccino, vedrà scenari complessi verso i quali le aziende e le Startup in particolare, dovranno essere pronte e premunite.

La buona notizia è che le Startup potrebbero risultare le realtà più resilienti alla pandemia e alla conseguente inevitabile crisi economica mondiale e, addirittura, avere in sé quella flessibilità adatta ad essere risorse per l’impresa mondiale.

Vediamo perché


Modalità smart insita nel modello

ottenere finanziamenti a fondo perduto

La modalità di lavoro smart, cioè la gestione delle attività produttive e dei contatti interaziendali da remoto, fa parte della modalità del maggior parte delle startup, da ben prima della pandemia. Essere abituati e saper gestire tutte le potenzialità di questo modello produttivo rende le aziende giovani e innovative più adatte ad una produzione in sicurezza.

Un aspetto cui invece bisogna fare attenzione è l’interdipendenza di tutte le attività aziendali da tutti i membri dell’azienda stessa; il calo produttivo di un membro di una srtaup potrebbe mettere in diffcoltà la produzione di tutti ed è per questo che, nella fase 2 e post pandemia, ogni Startup dovrebbe affidarsi ad un consulente del lavoro. Contattaci per una consulenza.

Leggi anche Errori da non fare per non far fallire una Startup

Canali online ben strutturati

calcolo TFR premio fedeltà_ helloquence

Le aziende nate negli ultimi 7 anni hanno dovuto, per questioni anagrafiche e storico-politiche, legare la vita aziendale a forti canali online. Persino i bandi a fondo perduto europei e regionali degli ultimi anni hanno erogato alle Startup dei fondi vincolati alle attività di promozione online e di implementazione dei canali web.
Su questo fronte, le Startup hanno potuto sviluppare dei canali di vendita e di promozione privilegiati: lo story telling aziendale di valore fatto sui social e sul web, attraverso piani editoriali con obiettivi precisi, sta aiutando molte aziende a cavalcare la crisi e sta sancendo la differenza tra chi resta sul mercato e chi ne esce.
Ai tempi del lockdown, se non sei online in modo strutturato, praticamente non esisti.
Le aziende giovani devono assolutamente continuare in questa direzione, anche in previsione dei mesi futuri, in cui i processi produttivi standard saranno rallentati.

Riconversione di parte della produzione

Mascherina con scritta don't panic_600 euro decreto cura italia indennità covid19

La pandemia farà cambiare i bisogni della società e del mondo del lavoro e, come sottolinea Forbes, le Startup potrebbero e dovrebbero orientare le loro produzioni a rispondere a queste necessità.
Ci saranno nuovi bisogni nel campo della santificazione di ambienti, nelle consegne di cibo a domicilio, nuovi bisogni nel comparto turistico e alberghiero, nel settore editoriale e nell’organizzazione di eventi culturali.
Soprattutto per le startup tecnologiche e innovative, mettersi a disposizione di ospedali, aziende farmaceutiche, turismo convertendo parte della produzione o mettendo in pratica soluzioni per i problemi di ogni singolo comparto, sarà un modo per diventare indispensabili alla società e anche per ottenere più facilmente investimenti pubblici e privati.

Scopri come ottenere finanziamenti a fondo perduto

Quali startup resteranno sul mercato?

  1. Quelle con canali online be strutturati (dal sito, all’e-commerce, dai social usati in modo strategico ai blog);
  2. Quelle che si affideranno a professionisti come Consulente del lavoro e/o esperto in bandi e progetti Europei;
  3. Quelle che saranno in grado di convertire parte della produzione;
  4. Quelle che intercetteranno i bisogni degli stakeholder e ne sapranno creare nuovi progetti e partnership.

Come chiedere e ottenere un finanziamento a fondo perduto per Startup

Se hai o vuoi creare una Startup e vorresti ottenere un finanziamento a fondo perduto, ci sono cose che devi sapere e alcuni step da seguire.
Ecco alcune semplici indicazioni per avere più possibilità di ottenere un finanziamento a fondo perduto.

Nell’avvio di una nuova attività imprenditoriale, tanto più se composta da un team di persone giovani, sappiamo bene che i finanziamenti sono la parte più importante e più complessa da prendere in considerazione.

Tra produzione, avvio, costi di gestione, se il bilancio tra entrate, investimenti e uscite non viene ben calcolato l’attività, per quanto valida, rischia di chiudere entro i fatidici 5 anni.
Prima di procedere, se ti va, leggi anche quali sono gli errori da non fare per non far fallire una Startup entro i primi 5 anni.

Adesso analizziamo invece la questione dei finanziamenti a fondo perduto, possibile e utilissimo sussidio per molte aziende appena nate o in fase di creazione.

Che cosa sono i finanziamenti a fondo perduto?

ottenere finanziamenti a fondo perduto

I finanziamenti a fondo perduto sono dei prestiti agevolati che enti pubblici, istituzioni regionali e sovra nazionali e, in alcuni casi, come ora vedremo, anche enti privati, mettono a disposizione di PMI e startup. Si tratta, insomma, di uno strumento di finanza agevolata utilizzato per promuovere lo sviluppo imprenditoriale di un territorio.

Sono diversi dai mutui e dai comuni prestiti bancari perché non prevedono la restituzione dell’importo prestato (cioè, sono a fondo perduto).

Come si possono ottenere?

supporto per startup_studio e lettura

Detto così, sembra un Eldorado di opportunità. In realtà per poter ottenere un finanziamento agevolato con importo a fondo perduto bisogna dimostrare, all’atto della domanda, di avere tutti i requisiti di un progetto di successo. Bisogna insomma dare chiara garanzia che il progetto resterà in piedi anche dopo la fine del finanziamento e che l’investimento dell’ente che ha puntato su di noi non sia stato, letteralmente, uno spreco di soldi (spesso pubblici, come vedremo a breve).

Per ottenere un finanziamento a fondo perduto ci sono degli step da seguire, che adesso analizzeremo insieme.
Questi step sono:

  1. Trovare il giusto bando (o i giusti bandi) davvero adatto al nostro progetto;
  2. Presentare bene la domanda;
  3. Farsi aiutare da un consulente.

Come trovare il giusto bando per ottenere un finanziamento a fondo perduto

calcolo TFR premio fedeltà_ helloquence

La buona notizia: esistono moltissimi bandi che erogano finanziamenti a fondo perduto a Startup, ma non sono tutti uguali.
Ci sono ad esempio dei bandi rivolti all’impresa femminile, quelli per l’impresa degli under 35, i bandi per le imprese innovative.

Cercare quello più adatto al nostro progetto è importante e non sempre facile.

Noi ti consigliamo di cercare prima di tutto i Bandi Europei e quelli regionali/territoriali (che, a loro volta, sono spesso creati grazie a fondi Europei).

Generalmente questi sono legati alla sede legale della Startup o alla residenza dei richiedenti.
Mirano allo sviluppo di territori a scarso o lento sviluppo industriale, per cui, ad esempio, le regioni del Centro Sud sono quelle più attive in questo tipo di finanziamento.

La Regione Puglia, ad esempio, da diversi anni ha creato NIDI, il fondo creato per i finanziamenti all’impresa, al quale è possibile accedere in qualunque momento (a differenza del precedente bando Principi Attivi, al quale si poteva fare domanda con una scadenza annuale precisa).

Molto interessanti sono anche i finanziamenti a tasso agevolato dell’Agenzia per lo sviluppo Invitalia, come Resto al Sud, l’incentivo che sostiene la nascita di nuove attività imprenditoriali nelle regioni del Mezzogiorno e nelle aree del Centro Italia colpite dai terremoti del 2016 e 2017.

Dunque, per trovare il bando giusto bisogna:

  • cercare prima di tutto tra i bandi territoriali,
  • cercare i bandi creati per la nostra tipologia di Startap (innovativa, artigianale, digitale, ecc.)
  • cercare bandi ideati per la nostra fascia di età o, in caso di impresa femminile, optare anche per i fondi a Startup create da donne.

Come presentare la domanda per ottenere un finanziamento agevolato?

supporto per startup_raccolta fondi

Come su detto, cercare un bando davvero adatto e centrato sul nostro tipo di progetto e azienda è la prima mossa da fare.

Bisogna leggere bene il regolamento ed essere certi di essere davvero in target.

Una volta appurato questo aspetto, è bene comprendere quale è la documentazione da allegare.

Nella documentazione, è sempre richiesto un business plan o analisi SWOT approfonditi e dettagliati: meglio sono redatti questi documenti, maggiore è la possibilità di passare le selezioni.

Cerca di approcciarti al bando con un’idea il più chiara possibile di come verranno investiti, eventualmente, i fondi richiesti perché è quasi sempre necessario indicarlo.

Chiedere un aiuto, se necessario

come ottenere un finanziamento a tasso agevolato

Scrivere o applicare ad un bando per la richiesta di un finanziamento può essere difficile soprattutto se è la prima volta. Tanto che oggi esistono delle figure professionali specializzate proprio nella redazione di moduli e domande per l’ottenimento di finanziamenti a fondo perduto per varie tipologie di utente finale (Startup, Onlus, unipersonali ecc.).

Se hai bisogno di una consulenza, contattaci.
Anche noi possiamo darti una mano.

Startup: 5 errori da evitare per non chiudere entro i primi 5 anni

Nell’attività di affiancamento a PMI e nel supporto per Startup, ci confrontiamo quotidianamente con realtà imprenditoriali ricche di entusiasmo e buoni propositi. 

Progetti validi, che possono dare enormi contributi alle micro economie locali e che possono portare interessanti cambiamenti a livello macro. 

Tuttavia, pur in un panorama nazionale che vede la nascita di oltre 80.000 imprese giovanili innovative l’anno, i dati sanciscono che una startup su tre non supera i 5 anni di vita. 

Lo attesta, ad esempio, la recente indagine di Unioncamere sulle startup che, fotografando il panorama di imprese giovanili fondate tra il 2011 e il 2018 (un totale di 575mila)  dimostra che un terzo di esse non supera la fase di avvio. 

Perché una startup su tre non supera i 5 anni?

I fattori sono di certo molteplici ed hanno a che fare con le difficoltà a trovare i giusti finanziamenti, reggere il confronto con la concorrenza, la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro e, per alcuni aspetti, anche l’instabilità politica e conseguente instabilità dei mercati. 

Queste sono alcune punte di un complesso iceberg. 

Ma tutti questi aspetti che portano una Startup a non raggiungere il traguardo minimo dei cinque anni di vita sono riassumibili in 5 errori di partenza che, se evitati, possono condurre un’impresa giovanile ad avere successo e durare nel tempo. 

Scopriamoli insieme. 

Analisi SWOT poco dettagliata 

In un paese in cui le tasse che gravano sulle imprese superano il 58%, quando una PMI getta la spugna è immediato puntare il dito esclusivamente e primariamente su questo aspetto e così è anche quando si analizzano i fattori che fanno cadere una startup. 
Di certo, questo è un fattore di debolezza.

Questo fattore di debolezza deve però realisticamente essere inserito e preso in considerazione nell’analisi iniziale di punti di forza, debolezza, opportunità e minacce che caratterizzano una corretta analisi SWOT. 

È bene dunque, nelle fasi iniziali, soffermarsi molto sulla stesura di un documento SWOT ben ponderato e realistico, che prenda in considerazione tutti i fattori di rischio e porti a pensare a delle preventive possibili soluzioni. 

Contattaci per una consulenza.

Team male assortiti

Una Startup con un solo socio fondatore è destinata ad avere meno investimenti, perché un unico socio è, per gli investitori, un possibile fattore di rischio e debolezza. 

Tuttavia è anche bene creare una realtà imprenditoriale con il giusto team. Non bisogna per forza essere amici di infanzia, come non è necessario essere d’accordo su tutto.

È però fondamentale che si abbia la stessa etica del lavoro e la stessa attitudine al sacrificio e all’impegno.

Le diverse vision dei fondatori sono uno dei principali elementi tossici nella vita di una Startup.  

Non lanciarsi in iniziative di raccolta fondi e finanziamenti

L’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di un regolamento specifico per la raccolta fondi, proprio per consentire alle giovani imprese di avere fonti innovative e veloci di finanziamento.

Ogni Startup dovrebbe, già nei primi mesi di attività, delegare un membro del team alla ricerca di bandi, fondi di finanziamento per le imprese e approfondire le tematiche relative a come si lancia e conduce una campagna di crowdfunding (cioè raccolta fondi dal basso). 

Oppure è possibile, e forse opportuno, rivolgersi ad un consulente del lavoro che sappia consigliare in merito e che possa dare delle dritte sulla normativa e relativi aggiornamenti. 

Scelte di investimento non oculate

Una pianificazione dei giusti investimenti da fare e la loro relativa calendarizzazione sono indispensabili, ancor prima di partire. 

Ci sono aspetti sui quali è meglio non lesinare, ad esempio sui programmatori. 

Questi non devono solo garantire consegne efficienti e tempestive e la veloce risoluzione di problemi ma anche veloce reperibilità e semplice comunicazione. 

Non avere una strategia comunicativa

Comunicare il proprio progetto è importantissimo e creare una giusta strategia di comunicazione, anche affidandosi ad esperti, è un fattore che spesso, tra tasse, spese, difficoltà iniziali, tende a passare in secondo o in terzo piano. Questo è un grosso errore.

Comunicare un progetto vuol dire prima di tutto stabilire una linea comunicativa comune tra soci, trovare le parole chiave con le quali racconterete il progetto agli investitori, nelle relazioni interpersonali e nei così detti elevator pitch. 

Su questa base, va costruita una strategia che non si basi solo sull’essere presenti su tutti i social ma che abbia una visione a lungo termine. 

La cultura è sopravvalutata?

Ho letto questo commento sotto un post riguardante uno dei tanti programmi televisivi trash.

Ma la scritta tra parentesi è l’apoteosi di un pensiero che non sembra neanche così raro.

Certo, è difficile dare un’interpretazione a questa frase, si dà per scontato che intelligenza e cultura siano la stessa cosa mentre non è affatto raro incontrare persone intelligenti ed ignoranti o l’esatto opposto.

C’è un’altra componente emozionale che conta.

“L’ignorante” tipo è convinto che cultura equivalga a presunzione unitamente a mancanza di praticità e poca cognizione della realtà.

Il problema è che non ha sempre torto apparentemente! Perché scrivo questo?

Perché molti ignoranti (ricchi) cercano di far passare un’idea di “ceto sociale” nei confronti delle persone meno abbienti, non solo economicamente, ma dando l’idea che la loro posizione dominante sia unicamente un fattore culturale e non una semplice facciata fatta di buone maniere.

Voi che ne pensate?

L’innovazione dalla storia ovvero il prezzo del nazionalismo e di due conflitti mondiali

Correva l’anno 1789 nel Regno delle Due Sicilie
parliamo ad esempio della “Costituzione di San Leucio” i cui pilastri erano tre: l’educazione veniva considerata l’origine della pubblica tranquillità; la buona fede era la prima delle virtù sociali; e il merito la sola distinzione tra gli individui. Tre principi sui quali varrebbe la pena di riflettere tutt’oggi, a più di due secoli e una decina di generazioni di distanza.

La scuola era obbligatoria a partire dai sei anni di età, i ragazzi erano poi messi ad apprendere un mestiere secondo le loro attitudini e i loro desideri. Obbligatoria anche la vaccinazione contro il vaiolo. I giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover chiedere il permesso ai genitori. Le mogli non erano tenute a portare la dote, a tutto provvedeva lo Stato, che s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi.

I capifamiglia eleggevano gli anziani, i magistrati (che restavano in carica un anno), e i giudici civili. Ogni manifatturiere, ovvero ogni dipendente delle manifatture della seta, era tenuto a versare una parte dei guadagni alla Cassa della Carità, istituita per gli invalidi, i vecchi e i malati.

Il Codice Leuciano, ben presto tradotto in greco, francese e tedesco, anticipò di quasi un secolo le prime leggi sul lavoro varate in Inghilterra (previdenza, assistenza sanitaria, case ai lavoratori, asili nido, istruzione elementare obbligatoria e gratuita per i fanciulli). Esso perseguiva, infatti, obiettivi di convivenza tipicamente moderni e mirava a realizzare una sorta di socialismo evangelico: sanciva cioè, per i componenti della colonia, la perfetta uguaglianza, con l’unica possibilità di differenziazione basata sul merito.

Passando dall’argomento lavoro (a me particolarmente caro) altri spunti normativi provengono dalle leggi sull’immigrazione e sul trattamento degli immigrati, ad esempio nell’autunno del 1839, venne promulgata la «Legge per prevenire e reprimere i reati relativi al traffico conosciuto sotto il nome di Tratta de’ negri».

Questa normativa, costituita da 15 articoli, prevedeva pene diverse a seconda che il bastimento, utilizzato per la tratta, fosse bloccato prima della partenza o venisse catturato dopo, in mare, senza che però il traffico fosse stato portato a termine. Potevano beneficiare di sconti di pena sostanziale i membri dell’equipaggio che avessero avvisato per tempo la pubblica sicurezza; tali benefici, però, non potevano mai essere applicati in favore dell’armatore, del capitano, degli ufficiali, del proprietario della nave, dell’assicuratore e del prestatore di capitali.

Incorreva nelle sanzioni anche chi fabbricava, vendeva o acquistava i ferri da utilizzarsi nella tratta. La pena era più grave, poi, se qualche schiavo negro fosse stato fatto oggetto di maltrattamenti o di omicidio.

La Gran Corte criminale, competente per il giudizio in merito, aveva anche il compito di provvedere alla liberazione degli schiavi di colore, ai quali veniva consegnata gratuitamente «copia legale della decisione di libertà».

Una legge promulgata il 17 dicembre 1817 alla quale seguì il decreto n. 10406 del 19 ottobre 1846 regolamentava la concessione della cittadinanza agli stranieri. Essa, composta da soli tre articoli, fu la prima normativa della storia sull’immigrazione. Il suo principio informatore era quello secondo cui, per poter acquisire la cittadinanza nel Regno, uno straniero doveva risultare concretamente utile alla collettività ed, in nessun caso, poteva costituire un problema sociale od un peso economico per lo Stato.

In particolare, all’articolo 1, così recitava: «Potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione nel nostro regno delle Due Sicilie: 1. gli stranieri che hanno renduto, o renderanno importanti servizi allo Stato; 2. quelli che porteranno dentro lo Stato de’ talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili; 3. quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili su’ quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all’anno; al requisito indicato ne’ suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo; 4. quelli che abbiano avuto la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale».

Nel campo del trattamento dei rifiuti e della pulizia ed igiene, un decreto emanato il 3 maggio 1832, analizzava e regolamentava la situazione dell’igiene pubblica e della raccolta dei rifiuti dell’intero Regno delle Due Sicilie. Un’ordinanza della prefettura di polizia disciplinava, poi, nei dettagli, lo spazzamento e l’innaffiamento delle strade, compresa una sorta di raccolta differenziata ante litteram per il vetro.

In particolare, a Napoli, il prefetto dell’epoca, Gennaro Piscopo, ordinò ai napoletani: «Tutt’i possessori, o fittuarj di case, di botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo. Questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte».

Nel dettagliato documento del prefetto di Napoli, composto da 12 articoli, venivano indicate le modalità della raccolta e chi ne era responsabile; si vietava di gettare dai balconi materiali di qualsiasi natura, comprese le acque utilizzate per i bagni, e di lavare o di stendere i panni lungo le strade abitate; venivano, infine, stabilite le pene per le contravvenzioni, non esclusa la detenzione.

Ma occorre ricordare che già nel 1445 a Lecce Maria D’enghien già giovanissima contessa dal 1384 e poi Regina del Regno di Napoli dal 1407 aveva promulgato nella vastissima Contea di Lecce gli Statuta et capitula florentissimae civitatis Litii.
Per quanto attiene la pulizia interna della città gli Statuti contemplano norme
rigorose che, tra l’altro, proibivano l’uso di armi letali e l’esercitarsi al bersaglio nei luoghi pubblici. Era vietata la vendita di sostanze velenose a uomini e donne di cattiva reputazione e in ogni caso il venditore era obbligato ad annotare il giorno in cui la sostanza era stata venduta e chi l’aveva acquistata.

Tornando al 1817 in tema di giustizia Sin dal 1774, era stato introdotto nell’impianto processuale l’istituto della Motivazione delle Sentenze, in linea con le teorie illuministe del giurista napoletano Gaetano Filangieri (1753-1788); mentre l’articolo 194 della legge del 29 maggio 1817 recitava «L’Ordine Giudiziario sarà subordinato solamente alle autorità della propria gerarchia. Niun’altra autorità potrà frapporre ostacolo o ritardo all’esercizio delle funzioni giudiziarie o alla esecuzione dei giudicati». Ai sensi dell’articolo 196 della stessa legge del 1817 innanzi menzionata, nessuno poteva essere privato di una proprietà o di alcuno dei diritti accordatigli dalle leggi dello Stato, se non per effetto di una sentenza o di una decisione passata in giudicato.

Ricordo, infine, gli usi civici e l’istituto dell’enfiteusi, in virtù dei quali la terra veniva concessa in uso a chi la lavorava, per il sostentamento della propria famiglia, dietro pagamento della cosiddetta decima; in sostanza, i contadini erano detentori ed usufruttuari dei terreni demaniali, che restavano però sempre di proprietà pubblica. A quest’ultimo riguardo, non si può prescindere dal ricordare la Prammatica del 20 settembre 1836, di Ferdinando II, sul demanio e sugli usi civici, dal cui testo emerge chiaramente una caratteristica peculiare del Diritto: la salvaguardia dei diritti dei più deboli dalle prepotenze e dai soprusi dei più forti.

Tornando ad oggi, parlando di temi come il conflitto d’interessi, immigrazione, spazzatura, le svariate e variopinte riforme del mercato del lavoro, dovremmo tenere più in considerazione la storia e l’evoluzione che avremmo dovuto darne a quasi 200 anni di distanza, nonostante il solco indelebile che hanno lasciato una sanguinosa unificazione dell’Italia e ben due conflitti mondiali, cancellando definitivamente gli istinti nazionalisti, tipici dei periodi di grande crisi.