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Diciamocelo chiaramente, il lavoro nero è una prassi consolidata in molte realtà aziendali ed è esteso piuttosto omogeneamente sul territorio nazionale, ma le cause che banalmente vengono riassunte in “il costo del lavoro è troppo alto” sono forse da ricercare in un atteggiamento culturale misto ad ignoranza e/o disinformazione.

Non toccherò l’argomento delle grosse aziende, soprattutto del comparto tessile, non aprirò a polemiche sullo sfruttamento in se per se dei lavoratori o su quanto sia necessario debellare il fenomeno per poter pensare ad un minimo di riduzione del costo del lavoro, ma cercherò di illustrare semplicemente pro e contro dell’utilizzo di uno strumento semplicemente illegale.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, partendo dai rischi di questa “scommessa”, tenendo anche conto delle implicazioni per quei lavoratori che durante lo svolgimento di lavoro nero usufruiscono di indennità a vario titolo dagli Enti di previdenza e assistenza.

RISCHI PER IL DATORE DI LAVORO

“Collegato lavoro” (art. 4 della Legge n. 183 del 2010)

Maxi-sanzione amministrativa. L’impiego di lavoratori subordinati in nero comporta l’applicazione di una maxi-sanzione amministrativa da 1.500 a 12.000 euro per ogni lavoratore non regolare, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo. In caso di regolarizzazione successiva è prevista invece una sanzione amministrativa da 1.000 a 8.000 euro per ogni lavoratore irregolare, maggiorata di 30 euro per ogni giornata di lavoro irregolare. A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 145 del 23.12.2013 (c.d. Decreto “Destinazione Italia“), la maxi-sanzione amministrativa e le relative maggiorazioni risultano aumentate del 30% per effetto dell’art. 14, comma 1, lettera a).

Sanzioni previdenziali. L’importo delle sanzioni civili legate all’evasione dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi riferiti a ciascun lavoratore in nero è aumentato del 50% ed  è venuto meno il tetto minimo dei 3.000 euro.

Il datore di lavoro inadempiente può essere punito con la reclusione fino a 3 anni qualora non versi le ritenute entro tre mesi dalla data di contestazione o notifica dell’avvenuto accertamento della violazione (avviso di addebito).

Sospensione attività d’impresa. Oltre alle sanzioni amministrative e previdenziali, in caso di utilizzo di lavoratori irregolari in misura pari o superiore al 20% del personale dipendente trovato sul luogo di lavoro (si badi bene, il criterio numero computa solo la percentuale di lavoratori trovati sul luogo di lavoro, escludendo le maestranze assunte e non presenti), il datore di lavoro può rischiare la chiusura temporanea dell’attività imprenditoriale.

Per quanto concerne il reato di truffa all’INPS, disciplinato dagli artt. 640, 640BIS, 316BIS, 316TER C.P., riguarda sia i lavoratori che, ovviamente, i datori di lavoro, è inutile addentrarsi in maniera particolare ed è chiaro quali siano le implicazioni penali per tali frodi.

É utile considerare il costo e i rischi connessi a contenziosi, nati da azioni vertenziali a tutela dei lavoratori, che vanificano questo tentativo maldestro di risparmio, andando ad gravare pesantemente sul patrimonio, anche personale.

Poiché è lampante che nessuno di questi elementi negativi sia efficace a convincere tutti gli imprenditori, sarà utile ragionare sui costi effettivi di un dipendente regolarmente assunto, sulle agevolazioni e sulle strategie di risparmio, che voglio approfondire nel prossimo articolo.

Concluderò il lavoro con dei grafici e tabelle per comprendere nel concreto tutto quanto descritto negli articoli che sto preparando.

 

 

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